Piasani Gin-Soz-Veronelli

Riabilitazione, l’importanza della neuropsicologia clinica nell’approccio multidisciplinare

Medici specialisti, neurologi, fisiatri e riabilitatori con la collaborazione di tutto il personale assistenziale ed il coinvolgimento e l’aiuto dei care-giver sono chiamati ad uno sforzo di integrazione funzionale fondamentale.

La storia della Casa di Cura ha inizio nel 1907 anno della fondazione della “Casa di Salute del Policlinico delle Specia­lità Medico Chirurgiche” ad opera di un gruppo i Medici che esercitavano la loro professione pres­so l’Ospedale Maggiore. Nel 1924 si costituisce la “Casa di Cura Privata Del Policlinico” che da via Ariberto si trasferisce nel cuore del capoluogo Lombardo, in via Dezza 48, dove tutt’oggi ha ancora sede. Nel cor­so degli anni si sono succeduti importanti nomi della medicina e della chirurgia mila­nese. Nell’anno 2004, contestualmente alla pubblicazione della Delibera Regionale n° VII/19883 “riordino della rete riabilitativa in Regione Lombardia”, la Casa di Cura ha messo in atto una radicale ristrutturazione, ottenendo l’accreditamento per 150 posti letto di Riabilitazione Specialistica.

Il Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative

“L’attività è rivolta a pazienti post-acuti tra­sferiti direttamente dalle varie Unità Ope­rative ospedaliere – spiega Giovanni Borri, direttore generale – la nostra attività si è concentrata fin dall’inizio sull’area neuro­logica, anche se all’interno sono disponi­bili una minoranza di posti letto dedicati a patologie ortopediche e cardio-respiratorie. Abbiamo finalizzato tutte le nostre risorse alla creazione di servizi di supporto, siner­gici ai percorsi di cura, che hanno consen­tito di mettere in atto protocolli riabilitativi sempre più complessi.
Attualmente la struttura può vantare una serie di servizi interni, quale il ser­vizio di Terapia Occupa­zionale, Neuropsicologia, Disfagia e Deglutologia, Neuroftalmologia, Psi­chiatrico e Nutrizionale, che affiancano il tradizio­nale approccio funziona­le. A supporto del corpo medico, un eccellente ser­vizio di Diagnostica per Immagini che comprende Tac, Rm ad alto campo, radiologia tradizionale ed un completo servizio di Laboratorio Ana­lisi. In pochi anni, questa unità di cura, ha prodotto un numero di ricoveri ad “alta complessità”sempre maggiore; è attual­mente riconosciuta tra le cinque più impor­tanti strutture neuro-riabilitative presenti in Regione Lombardia. La difficoltà, ma an­che la vera sfida, – prosegue Borri – è quella di ottenere un reale “approccio multidisci­plinare”, termine molto utilizzato ma di difficile applicazione pratica. Così, medici specialistici, neurologi, fisiatri e riabilitato­ri con la collaborazione di tutto il personale assistenziale ed il coinvolgimento e l’aiuto dei care-giver sono chiamati ad uno sforzo di integrazione funzionale fondamentale. La necessità di accogliere pazienti preco­cemente è coerente con quanto sta acca­dendo nel resto della Comunità Europea – continua Borri – sempre più spesso le Unità Operative che si occupano di riabilitazione in acuto devono innalzare le proprie capa­cità strutturali, tecnologichee di personale verso i pazienti che, oltre a crescere di nu­mero, sono sempre più complessi dal punto di vista clinico”. Uno dei settori in forte evoluzione e nei quali si stanno ampliando conoscenze e applicazioni cliniche è quel­lo della riabilitazione neuropsicologica, in considerazione dei deficit cognitivi (es. memoria, linguaggio, attenzione, ragiona­mento ecc.) spesso associati a danno neu­rologico.

Il Neuropsicologo

“La Neuropsicologia è una disciplina del­la Psicologia che si occupa dello studio dei processi cognitivi e dei corrisponden­ti substrati anatomo-funzionali localizzati nell’encefalo; il neuropsicologo collabora all’interno dell’equipe riabilitativa effet­tuando valutazioni che hanno lo scopo di fornire indicazioni circa la presenza di de­ficit specifici delle funzioni cognitive, defi­nendone caratteristiche funzionali e gravità” spiega il neuropsicologo Matteo Sozzi. “Sulla base di quanto osservato con la va­lutazione, si avviano programmi riabilita­tivi specifici in ambito neuropicologico; altrimenti, nei casi in cui non sia indicato o necessario un trattamento, si forniscono informazioni, che possano essere di utilità per il lavoro del personale riabilitativo, sul residuo cognitivo e le specifiche difficol­tà”.

Chi sono i pazienti

La percentuale più consistente dei ricoveri riguarda persone con patologie del sistema nervoso centrale in particolare ictus, ischemici o emorragici, traumi cranio-encefalici o encefalo vascu­lopatie croniche. Tra i pazienti con diagnosi ‘neurologica’ sono presenti anche persone in esiti di grave cerebrolesione acquisita, con disturbi della coscienza (coma, stato vegetativo, stato di minima coscienza).
“Si sono fatti passi da gigante in questo ambito, oggi è acquisito il concetto di ‘pla­sticità neuronale’ – interviene Luigi Pisa­ni, Direttore Sanitario e responsabile dell’unità – sappiamo cioè che il sistema nervoso centrale è in grado di modificare la propria microstruttura. Esiste una capa­cità di adattamento e di riorganizzazione da parte del cervello adulto anche dopo gravi lesioni. La riabilitazione cognitiva sfrutta questa plasticità, perchè il paziente viene posto in contesti nei quali è indotto a creare delle strategie, e ciò porta a creare nuovi circuiti che vicariano gli esistenti compro­messi. Se la lesione è in un’area del cer­vello, le aree ‘omologhe’ vicine che hanno la stessa funzione vanno a vicariare quel­la compromessa. E anche le aree che non hanno la stessa funzione ma sono limitrofe possono farsi carico delle funzioni venute meno.

Per riabilitare, un approccio globale

La persona in riabilitazione è immersa in una realtà complessa: nell’equipe, ciascu­no mantiene la propria specificità, ma c’è una interazione che crea la rete sulla quale il paziente si appoggia. “Quando si parla di riabilitazione occorre adottare un ap­proccio globale, il paziente va visto nel suo complesso e a fronte di molteplici interven­ti che creano un approccio multidisciplina­re le informazioni devono essere condivise all’interno dell’eqipe”, spiega la neuropsi­cologa Valeria Ginex.
Aggiunge Pisani: “ Il medico che ha in ge­stione il paziente deve fare una valutazione prognostica qualitativa-quantitativa: consi­derando tutti i fattori in gioco, deve indica­re cioè quanto è recuperabile nel tempo, dare indicazioni sull’evoluzione e sulle tera­pie. Le nostre sono patologie complesse, dall’ictus agli stati vegetativi. Abbiamo pa­zienti le cui vite da un giorno all’altro sono state stravolte, come a chi stava loro attorno. Non recuperiamo la funzione ma la persona”. Le riabilita­zioni cognitiva e motoria si intersecano per favorire un miglior recupero dei deficit residui. Da questo punto di vista i diversi tipi di inter­vento sul paziente possono essere di reciproco aiuto; vi sono ad esempio situazioni in cui il disturbo cognitivo specifico può intralciare il recupero motorio o il lavoro del riabilitatore, è il caso della negligenza spaziale unilaterale (ne­glect); questa sindrome neuropsicologica è carat­terizzata da un disturbo dell’attenzione visuo-spaziale volontaria che impedisce alla persona un’esplorazione comple­ta dello spazio, se la le­sione colpisce l’emisfero destro non considera più quello che c’è a sinistra, potrebbe inoltre non ri­conoscere più la metà del corpo e ciò renderebbe difficoltoso il recupero della funzionalità mo­toria. Una lesione emi­sferica a sinistra invece può causare afasia, ossia danneggiare la capacità di comunicare e di com­prendere quanto viene detto, colpire la capacità di denominare oggetti, di articolare una frase, può indurre la creazione di parole inesistenti (ne­ologismi) o di utilizzare in modo non adeguato parole in una frase. An­che in questo caso, la de­scrizione funzionale del deficit e della competen­za comunicativa residua, può fornire indicazioni che contribuiscano ad un miglior intervento riabili­tativo e un più favorevole recupero. Perchè la somma degli interventi specifici è più che un intervento plurisettoriale, è ri­abilitazione.